Cos’è e come sta cambiando l’approccio al lavoro
Il 2017 verrà ricordato come l’anno della legge sullo smart working: questo è ciò che Fiorella Crespi, direttore dell’osservatorio HR Innovatiotion Practice del Politecnico di Milano ha detto al convegno “Smart Working: sotto la punta dell’iceberg” tenutosi l’11/10/2017 presso il politecnico di Milano.
Il 36% delle grandi imprese, il 7% delle Piccole Medie Imprese e il 5% delle Pubbliche Amministrazioni, hanno già progetti strutturati di Smart Working, sebbene a prevalere siano approcci informali.
Il dato, 6 %, è comunque ancora lontano da quello europeo che registra una media del 17% della platea interessata allo smart working che è concretamente coinvolta.
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Ma facciamo un passo indietro: Che cos’è lo smart working?
Lo smart working (normato dalla legge italiana 81/2017) è un nuovo approccio all’organizzazione aziendale, in cui le esigenze individuali del lavoratore si contemperano, in maniera complementare, con quelle dell’impresa:
è la possibilità di lavorare in altri luoghi idonei che non sia la sede di lavoro per un numero concordato di giorni al mese.
Ciò consiste in un accordo individuale stretto tra la società e il dipendente dove vengono stabiliti i giorni mensili usufruibili in modalità smart working dove, è possibile lavorare da casa o da un altro luogo idoneo.
Purtroppo sono ancora poche le iniziative che ripensano i modelli di organizzazione del lavoro e estendono a tutti i lavoratori flessibilità, autonomia e responsabilizzazione, anche se i benefici economico-sociali sembrano essere molti, eccone alcuni:
In Italia, gli Smart Worker sono 305.000, l’8% del totale dei lavoratori del campione, i quali godono di autonomia nella scelta delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati: essi trascorrono mediamente solo il 67% del tempo lavorativo in azienda, contro l’86% degli altri.
Sono sempre meno legati ad una singola postazione e svolgono le mansioni anche in altre sedi della propria azienda, presso clienti o fornitori, a casa o in spazi di coworking.
Tra gli smart worker vi è inoltre una più adeguata padronanza di competenze soft relazionali e comportamentali legate al digitale, le Digital Soft Skills, che consentono alle persone di utilizzare efficacemente i nuovi strumenti digitali per migliorare produttività e qualità delle attività lavorative.
Rispetto alla media dei lavoratori, sono più soddisfatti del proprio lavoro:
Solo l’1% si ritiene insoddisfatto (contro il 17% degli altri): tra le varie motivazioni vi può essere un minor coinvolgimento nelle dinamiche di apprendimento del know-how attraverso l’osservazione dei colleghi o una mancata integrazione rispetto alla “squadra” di lavoro, la quale si può ovviare stabilendo un numero massimo di giorni mensili di smart working.
Per questi motivi, nell’ambito dell’applicazione della recente legge n. 81 del 22 maggio 2017 IQT consulting S.p.A. ha deciso, a fine 2017, di adottare la nuova modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che si aggiunge alle modalità tradizionali.
Il coinvolgimento ha riguardato il 19% dei lavoratori sugli aventi diritto all’esecuzione delle nuove modalità di lavoro.
La società conta di estendere a tutta la popolazione IQT lo smart working dotando le persone coinvolte di strumenti informatici sempre più efficienti ed abbattendo problemi legati alla velocità di connessione.
La filosofia aziendale, già orientata agli obiettivi, grazie all’adozione dello Smart Working consentirà di organizzare il lavoro in modo sempre più flessibile e attento alle responsabilità dei singoli.
Monica Franzolin
Organization and Human Resources Manager